Pasta
Pasta artigianale: tutto il buono di una volta custodito in ogni formato
Secca o fresca, impastata solo con farina ed acqua o con l’aggiunta di uova, la pasta è il piatto che più rappresenta il nostro Paese nel mondo.
È anche il piatto che porta meglio in tavola le variegate tradizioni culinarie dell’Italia, dove spesso è stato il segreto di una massaia a diventare, col tempo, l’ingrediente in più che ha consegnato alla memoria una certa preparazione.
C’è stato un tempo in cui preparare la pasta significava “farla” a mano in casa, con spianatoia e mattarello. In quel tempo non c’era festa che non avesse la “sua” pasta. Le nonne preparavano la fontanella di farina, aggiungevano l’acqua e ottenevano un panetto facilmente modellabile, con le sole mani o con l’aiuto di utensili speciali.
I formati più diffusi erano i cavatelli – tocchetti di pasta che venivano cavati con le dita, di cui si parla nel “Liber de Coquina” attribuito a Federico II, dove vengono descritti gli antenati di questa pasta – “Rotondi e ablunghi calcati con un dito per ottenere forma incavata”. Oltre ai cavatelli c’erano anche i fusilli, pasta cavata e allungata di cui si trova traccia in uno scritto di Bartolomeo Sacchi che descrive la pasta cavata con il “buso” diffusa prima dell’anno mille grazie agli arabi nelle zone del Sud Italia, dove successivamente venne usato il “fuso” per dare vita ai fusilli e alle altre varianti locali, come le foglie d’ulivo.
Le lagane, pasta tagliata a listarelle servita soprattutto con i ceci, erano le indiscusse protagoniste delle tavole contadine, citate già da Orazio in uno dei suoi scritti (…me ne torno a casa alla mia scodella di porri, ceci e lagane). Nell’immaginario collettivo, però, sono i maccheroni il formato italico più rappresentativo:
“Ma se tu avessi amato i Maccheroni più de’ libri, che fanno l’umor negro, non avresti patito aspri malanni… E vivendo tra i pingui bontemponi giunto saresti, rubicondo e allegro, forse fino ai novanta od ai cent’anni…”.Così si legge nella “Maccheronata” di Gennaro Quaranta, in risposta ad alcuni versi di Giacomo Leopardi.
La pasta artigianale riesce ancora a fare un racconto autentico di un territorio: viene fatta seguendo procedimenti consolidati, con grani antichi come la Saragolla, coltivati in modo naturale, macinati a pietra e lavorati secondo la ricetta della tradizione. La trafilatura al bronzo, poi, dà ai formati la consistenza porosa giusta per valorizzare ogni condimento.
La pasta e la tradizione
Un Museo dedicato alla Pasta nella città di Parma fa rivivere le tappe più importanti dell’evoluzione di un prodotto così amato nel nostro Paese e fornisce aneddoti e curiosità.
Da Federico II di Svevia, che mangiava la pasta al sugo con lo zucchero, alla scoperta di un sito archeologico in Medio Oriente, risalente a 10.000 anni fa, in cui alcuni reperti hanno raccontato che proprio qui l’uomo avrebbe iniziato a coltivare il grano e che da qui, questa coltivazione si sarebbe poi diffusa anche in Europa.
Un’altra curiosità riguarda l’origine dell’espressione “essere di buona pasta” riferita ad una persona dall’animo buono, che sarebbe stata coniata nel 1300; rintracciata per la prima volta in un’opera dello scrittore toscano Giovanni Sercambi: “Spartosi la novella di ser Martino per la contrada, alcune donne et alquanti omini di buona pasta andavano a lui dicendo…”.