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Ceci neri degli Alburni
Cece degli Alburni: il pregiato legume piccolo e nero
Non è un legume usuale, sia per colore che per dimensioni. Si presenta nero e piccolo ma sono proprio queste caratteristiche che l’hanno reso un alimento di pregio. Non facile da trovare nei percorsi ordinari del gusto e per questo ancora più ricercato. Un legume della tradizione campana che ancora oggi arriva sulle nostre tavole, grazie all’impegno di chi continua a coltivarlo e a “proteggerlo” con l’amore dei primi contadini.
Il cece trae le sue origini dal continente asiatico, da cui si è poi diffuso negli altri continenti, distinguendosi in tante varietà, fra cui quella nera. In Italia la coltivazione del cece è concentrata principalmente nelle zone del Sud e delle isole. La varietà particolare del cece nero ha trovato la sua diffusione soprattutto nell’area del Mediterraneo.
In alcune zone ha individuato, poi, un suo ambiente di predilezione, riuscendo a sviluppare al massimo le sue proprietà. Fra queste rientra sicuramente il territorio degli Alburni che è già terra di altri legumi pregiati, quali fagioli e lenticchie. Il cece nero si aggiunge, quindi, alla lista quasi a sottolineare ulteriormente la vocazione di questi suoli. Suoli che hanno determinato l’ecosistema ideale per queste coltivazioni, tramandate di padre in figlio e per questo ancora attive e vitali. Come dei presìdi di qualità.
Questo legume, ricco di proteine, si presenta con una buccia nera, con un cuore delicato dal colore fra il bianco ed il giallo che durante la cottura non si spacca, mantenendo inalterata la sua consistenza vellutata e gustosa. Secco può essere conservato a lungo e usato per arricchire vari piatti: ideale con la pasta, specialmente quella fatta in casa, ma anche nelle minestre e nelle zuppe. Il suo colore, poi, lo rende particolarmente adatto agli abbinamenti più creativi.
Il cece fra storia e tradizione
Terzo legume più coltivato al mondo dopo fagioli e piselli, cibo degli schiavi nell’antico Egitto, il cece è da sempre uno degli ingredienti della cucina povera e viene richiamato nella tradizione popolare per indicare una punizione (stare in ginocchio sui ceci) o la mancata capacità a tenere segreti (non tenere un cece in bocca).
Consumati anche nell’antica Grecia, vengono citati in alcuni versi del poeta Senofane che li descrive come uno sfizio da sgranocchiare vicino al camino nelle giornate invernali. A Roma, invece, dal termine “cicer” fu derivato il nome di una delle famiglie più in vista, i Cicerone.
Se ne fa anche riferimento in un importante fatto storico: i Vespri siciliani del 1282, che segnarono la fine della presenza angioina in Sicilia. Dopo l’insurrezione contro il governo di Carlo I d’Angiò, iniziò una vera e propria caccia ai francesi e per riconoscerli fu adottato uno stratagemma linguistico che aveva come protagonista proprio la parola siciliana ceci – ciciri. Se la parola veniva pronunciata con una minima inflessione, oppure accentando la “i” finale, era chiaro che a pronunciarla non era un siciliano.