Ceci di Cicerale
Cece di Cicerale: il sodalizio virtuoso che unisce prodotto e territorio
Più piccolo, più tondo e più scuro rispetto ai ceci in commercio ma dal sapore più intenso, il cece di Cicerale rappresenta una identificazione unica con il territorio cilentano nel quale viene “nutrito” da tempi antichissimi. Già nel nome, che unisce il prodotto ed il territorio in un virtuoso sodalizio.
Documenti scritti testimoniano la presenza di questa coltivazione fin dall’anno Mille nel piccolo borgo situato in provincia di Salerno, nell’area protetta del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, a 15 chilometri dalla zona archeologica di Paestum.
La storia di questo piccolo legume è l’esempio di come attraverso l’impegno e la passione sia possibile costruire l’identità di un luogo. Il nome del comune di Cicerale, infatti, significa “terra che nutre i ceci” e deriva dal latino “Terra quae cicera alit”: la stessa frase campeggia anche sullo stemma del municipio, facendo da cornice proprio all’immagine di una piantina di ceci.
Nel corso degli anni si è passati da una coltivazione molto estesa ad una drastica riduzione, dettata sia dal lento spopolamento delle aree rurali che dal processo produttivo molto faticoso.
Le piante di cece crescono basse seguendo le dinamiche di un’agricoltura naturale: senza l’impiego di prodotti chimici e “annaffiate” solo dall’acqua piovana. Del resto queste piante non necessitano di molta acqua per crescere e si sviluppano anche in condizioni poco favorevoli. Quando il caldo di luglio porta i semi a piena maturazione, le piante di ceci vengono sradicate e fatte essiccare completamente al sole, quindi sistemate su sacchi di iuta. Con dei grossi bastoni di legno si procede a battitura, per separare i semi dai baccelli, eliminando poi le impurità con la ventilazione e quando il prodotto è pulito viene confezionato.
Questa procedura è stata adottata per molti secoli e poi adeguata alle trasformazioni tecnologiche, anche se le caratteristiche dei suoli richiedono ancora oggi un lavoro prevalentemente manuale.
Nel 2009 è nata l’associazione “Ciceralit” i cui membri, i produttori locali, hanno fin dall’inizio rispettato un disciplinare molto rigido per garantire alle coltivazioni il massimo della naturalezza. E tre anni dopo è arrivato anche il riconoscimento di Slow Food, che ha fatto del cece locale uno dei suoi presìdi. Tutte azioni che indicano il desiderio di dare ancora continuità a questa coltivazione antica, indissolubilmente avvinta alla storia del suo territorio di origine.
Il cece di Cicerale si può portare in tavola in diversi modi: come ripieno cremoso della pasta fatta in casa, con il pesce, nei dolci e in uno dei piatti più classici della cucina povera cilentana, i “cicci maritati”: una zuppa di legumi e cereali servita con olio extra vergine di oliva.
Il cece e la tradizione
In molte città Italiane il cece, insieme ad altri legumi, è protagonista di saporite zuppe preparate in occasione della commemorazione dei defunti del 2 novembre. Probabilmente questa usanza è derivata dal mondo antico quando si credeva che, in particolari circostanze, i morti potessero tornare in mezzo ai loro cari. In quelle occasioni si preparavano proprio dei piatti a base di legumi misti, con la convinzione che i morti se ne cibassero prima di ritornare nell’aldilà.